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Come noto, l’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021, poi convertito in legge n.76/21, ha
introdotto per gli esercenti le professioni sanitarie e per gli operatori di interesse
sanitario l’obbligo vaccinale.
Il citato art. 4 prevede al suo primo comma (recte: prevedeva stante l’entrata in vigore del d.l. n.172/21) che, in considerazione della situazione di emergenza epidemiologica da SARS-CoV-2, fino alla completa attuazione del Piano strategico nazionale dei vaccini per la prevenzione delle infezioni da SARS-CoV-2, di cui all’art. 1, comma 457, della l. n. 178 del 2020, “al fine di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza”, gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario di cui all’art. 1, comma 2, della l. n. 43 del 2006, sono obbligati a sottoporsi a vaccinazione gratuita per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2.
Com’è noto in data 27 novembre 2021 è entrato in vigore il Decreto-Legge 26 novembre 2021 n. 172 “Misure urgenti per il contenimento dell’epidemia da COVID- 19 e per lo svolgimento in sicurezza delle attivita’ economiche e sociali” (pubblicato in GU n.282 del 26.11.2021) che, all’articolo 2, con l’introduzione dell’art 4-ter D.L. 44 del 1° aprile 2021 ha esteso l’obbligo vaccinale per il personale della scuola, del comparto difesa, sicurezza e soccorso pubblico, della polizia locale, degli organismi della legge n. 124 del 2007, delle strutture di cui all’articolo 8 -ter del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 e degli Istituti penitenziari, disponendo che dal 15 dicembre 2021, l’obbligo vaccinale per la prevenzione dell’infezione da SARS- CoV-2 si applica anche alle seguenti categorie:
In considerazione della situazione di ‘emergenza epidemiologica’, per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2 sono obbligati a sottoporsi a vaccinazione gratuita, comprensiva, a far data dal 15 dicembre 2021, della somministrazione della dose di richiamo successiva al ciclo vaccinale primario, al fine di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza per tutti gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario che svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie e sociosanitarie pubbliche e private, farmacie, parafarmacie e studi professionali è obbligatoria e gratuita la vaccinazione per la prevenzione dell’infezione da Sars-CoV-2.
Ai sensi del citato art. 4 primo comma I del d.l. n. 44/21, nonché dell’art. 4 così come sostituito dal D.L. 172/2021, la vaccinazione costituisce “requisito essenziale per l’esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative dei soggetti obbligati”.
Le sanzioni per l’operatore sanitario che non si vaccina è la sospensione dall’esercizio della professione sanitaria che ha efficacia fino all’assolvimento dell’obbligo vaccinale e comunque fino al 15 giugno 2022.
Nel periodo di sospensione non è dovuta la retribuzione o altro compenso o emolumento.
In caso di inosservanza dell’obbligo vaccinale, l’art. 4, comma 6, del d.l. n. 44/21 prevedeva che, una volta decorsi inutilmente i termini per l’attestazione dell’adempimento, l’A.S.L. competente per territorio avrebbe dovuto procedere con l’accertamento dell’inosservanza dell’obbligo vaccinale, dandone immediata comunicazione scritta all’interessato, al datore di lavoro e all’Ordine professionale di appartenenza. L’atto di accertamento da parte dell’A.S.L. determinava “la sospensione dal diritto di svolgere prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali o comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2”.
Con la nuova formulazione dell’art. 4, così come sostituito dall’art. 1 DL 172/2021, è venuta meno la specifica delle “prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali o comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2” ed è diventata una “sospensione dall’esercizio delle professioni sanitarie” con annotazione nel relativo albo professionale de per i professionisti sanitari che si iscrivono per la prima volta agli albi degli Ordini professionali, l’adempimento dell’obbligo vaccinale è requisito ai fini dell’iscrizione fino alla scadenza del termine di sei mesi dal 15 dicembre 2021.
Ora, è fatto assolutamente notorio che sin dalle prime applicazioni del d.l. n. 44/21, poi convertito nella legge 76/21, ovunque si sia praticata entro il territorio nazionale la somministrazione del vaccino per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2, e quindi presso hub vaccinali, ospedali, farmacie o altro, i medici vaccinatori abbiano subordinato e condizionato la sua inoculazione alla previa prestazione del c.d. consenso informato da parte del vaccinando, mediante sottoscrizione di apposito modulo.
Prestazione del consenso informato che è stata preventivamente richiesta, tanto per coloro che aderendo alla campagna vaccinale del Governo, decidevano di sottoporsi volontariamente alla somministrazione del vaccino, come per i sanitari che, invece, vi erano tenuti per espressa imposizione di legge.
Nel caso di rifiuto alla sottoscrizione del c.d. consenso informato, la somministrazione del vaccino è stata rigorosamente e indiscriminatamente rifiutata. Ora, se per la prima categoria di vaccinandi nulla quaestio in ordine alla preventiva richiesta da parte del personale sanitario di prestare il consenso su base informata, serie e differenti riflessioni s’impongono sulla identica pretesa di rilascio del consenso informato per quella categoria di persone/lavoratori che alla vaccinazione non potevano e non possono sottrarsi se non a costo di sopportare gravi compressioni dei propri diritti costituzionalmente garantiti.
Ma cerchiamo di procedere con ordine nel ragionamento.
Ora, non si può dubitare del fatto che la scelta dei sanitari che hanno consapevolmente deciso di non sottoporsi alla vaccinazione dovrebbe, in una condizione di normalità sanitaria, ritenersi del tutto legittima perché espressione della libera autodeterminazione e del consenso informato, di cui alla l. n. 219 del 2017.
Quella stessa scelta, ci dice però il Consiglio di Stato con la recente sentenza n. 4075/2021, qualora venga adottata in un contesto di emergenza sanitaria quale si reputa essere quello attualmente in atto, viene a determinare “un rischio inaccettabile per l’ordinamento nella misura in cui può mettere a repentaglio la salute e la vita delle persone più fragili, anzitutto – che, di fronte all’elevata contagiosità della malattia, potrebbero subirne e ne hanno subito le conseguenze in termini di gravità o addirittura mortalità della malattia”.
In altri termini, il legislatore è convinto che “La formazione del consenso informato in ciascuno e l’adesione convinta dei più alla vaccinazione, sulla base delle informazioni rese disponibili dalla comunità scientifica e all’esito di un serena valutazione circa il rapporto tra rischi e benefici della vaccinazione all’interno della comunità e delle istituzioni democratiche, costituiscono certo la soluzione migliore e preferibile per combattere la malattia” (così espressamente Cons. St., sentenza 4075/2021) sia perché “esaltano il ruolo di una scienza non richiusa in sé … ma aperta al dibattito civile e partecipe al progresso morale e materiale dell’intera società” (ibidem) sia perché “valorizzano il fondamentale ruolo dell’autodeterminazione in sintonia, e non già in conflitto, con il principio di solidarietà” (ibidem).
In quest’ottica, l’obiettivo a cui tende il legislatore è quello di ottenere il consenso informato “che ha un’essenziale funzione di sintesi tra l’autodeterminazione e il diritto alla salute” (v., in questo senso, Corte cost., 23 dicembre 2008, n. 438 e Cons. St., sez. III, 2 settembre 2014, n.4460).
Tuttavia, se la prestazione del consenso, di cui all’art. 1, comma 2, della l. n. 219 del 2017 è (e dovrebbe essere) “la dimensione fisiologica e privilegiata, l’orizzonte normale e consueto entro il quale dovrebbe iscriversi qualsiasi campagna vaccinale, anche quella in corso contro il Sars-CoV-2, e dovrebbe condurre ad un atteggiamento, consapevole e responsabile, di adesione volontaria alla campagna vaccinale a beneficio di tutti e di ciascuno” (così espressamente ancora Cons. St. 4075/2021), laddove invece ciò non accada per i più svariati fattori, si è affermato che il legislatore possa, in alternativa allo strumento della persuasione, imporre l’obbligo vaccinale, di fronte all’emergenza epidemiologica in atto.
La giurisprudenza amministrativa, se da un lato ha sempre rifiutato una concezione autoritaria e impositiva della cura, calata dall’alto e imposta alla singola persona (v., in questo senso, Cons. St., sez. III, 2 settembre 2014, n. 4460), e ha sempre rimarcato e difeso la sfera inviolabile della persona all’autodeterminazione terapeutica, poiché il fine, ma anche il limite di ogni trattamento sanitario, anche obbligatorio, è sempre il «rispetto della persona umana», come prevede il secondo periodo del secondo comma dell’art. 32 Cost., dall’altro lato, a tutela della salute pubblica quale interesse della collettività, ha sempre legittimato le vaccinazioni obbligatorie fra i trattamenti sanitari imposti ai sensi dell’art. 32, comma secondo Cost., anche per il già richiamato principio della solidarietà a tutela dei più fragili (si veda in particolare, il parere n. 2065 del 26 settembre 2017 della Commissione speciale del Consiglio di Stato sulle vaccinazioni introdotte dal d.l. n. 73 del 2017).
Ma allora, se questo è il contesto normativo e giurisprudenziale di riferimento, diventa davvero difficile comprendere come si possa pretendere di far coesistere l’obbligo vaccinale con l’autodeterminazione, quando il processo formativo del volere nel consenso informato non può che essere evidentemente incompatibile con la costrizione e l’extrema ratio propri dell’obbligo vaccinale.
In altri termini, laddove anche si voglia ammettere che ove l’opera di convincimento volta ad assicurare la maggior copertura vaccinale possibile e ad arginare la diffusione del contagio, non risulti sufficiente a tale scopo, il legislatore ben possa (alla luce dei superiori orientamenti giurisprudenziali) procedere con l’imposizione dell’obbligo vaccinale, proprio non si vede in forza di quale fondato percorso logico- giuridico si possa contemporaneamente sostenere ed affermare la legittimità della pretesa del previo consenso al trattamento sanitario, imposto ex lege.
Per i sanitari come per quelle altre categorie di cui al recente d.l. n. 172/21, infatti, il legislatore ha espressamente scelto di far prevalere sul diritto di autodeterminazione del singolo, l’interesse pubblico alla vaccinazione obbligatoria. Il che porta ad escludere che coloro che sono e saranno chiamati a dare concreta attuazione alle previsioni normative in materia di obbligo vaccinale, possano pretendere anche l’adesione volontaria all’obbligo stesso.
D’altra parte e per chiudere, dal momento che l’art. 1 della legge 219/17 “La presente legge, nel rispetto dei principi di cui agli articoli 2, 13 e 32 della Costituzione e degli articoli 1, 2 e 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, tutela il diritto alla vita, alla salute, alla dignita’ e all’autodeterminazione della persona e stabilisce che nessun trattamento sanitario puo’ essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge”, come potrebbe parlarsi di “consenso libero” e cioè di consenso figlio di una libera e non condizionata scelta soggettiva, quando la sfera volitiva della persona assoggettata per legge ad obbligo di vaccino, risulta necessariamente forzata nel suo percorso di libera formazione e manifestazione, dall’incombere su di essa di conseguenze gravissime – in caso di inosservanza – quali la sospensione dal proprio lavoro e la cessazione del reddito necessario alla sopravvivenza ?