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Recenti provvedimenti giurisprudenziali, con i quali alcuni Tribunali sono intervenuti a dirimere il contrasto tra genitori sull’opportunità di sottoporre i figli minori alla vaccinazione anti covid-19, hanno fornito lo spunto per la presente riflessione che, senza pretesa di esaustività, intende sottoporre a vaglio critico le decisioni adottate, al fine di verificarne la conformità non solo con l’impianto normativo del nostro ordinamento, ma anche con i complessi dati medico-scientifici di cui, ad oggi, è possibile disporre.
La problematica del contrasto tra genitori in questo specifico ambito, con il recente ampliamento della campagna vaccinale alla fascia di età 5-11 anni, rende ancor più centrale e delicato il ruolo della magistratura.
Infatti, il Giudice adito non potrà più, contrariamente a quanto avvenuto sino ad oggi, privilegiare – di fatto assecondandola – la volontà del minore, ma dovrà ponderare, senza più alibi, i dati medico-scientifici e i principi regolatori della materia, operando una scelta che vada al di là del dato puramente statistico e propagandistico e lo conduca – anche attraverso l’ausilio di eventuali consulenti – a valutare gli effettivi rischi di una somministrazione vaccinale massiva che presenta incognite evidenti.
Dall’analisi dell’impianto motivazionale delle decisioni prese in esame 1, si ha la sensazione che i Tribunali si siano defilati dall’approfondire il dato medico-scientifico sul rapporto rischi/benefici della somministrazione, privilegiando invece, in assenza di controindicazioni specifiche, la volontà del minore che, compiuti i 12 anni, è ritenuto ex lege dotato di capacita di discernimento.
Nella quasi totalità dei provvedimenti esaminati, infatti, il dato scientifico che dovrebbe sorreggere la decisione è presente sotto forma di un generico quanto liturgico richiamo all’ “opinione della comunità scientifica internazionale”, ad “una elevata efficacia del vaccino nel proteggere dalla malattia grave”, ad un “rapporto rischi-benefici in cui i benefici sono superiori ai rischi in tutte le fasce di età”, senza alcuna approccio critico capace di valorizzarlo.
Tale soluzione, sebbene aderente al dato normativo e alle indicazioni del Comitato Nazionale per la Bioetica 2, rischia, tuttavia, di condurre ad una decisione che, privilegiando soltanto la volontà del minore e la sua legittima aspettativa di un ritorno ad una ormai ‘distopica normalità’, perde di vista l’interesse del figlio che, ai sensi dell’art. 316 cod. civ., deve presiedere le scelte del Giudice.
Si tratta di un approccio certamente comodo e in linea con le indicazioni politiche- istituzionali, ma irragionevolmente e colpevolmente indifferente ad una diversa e altrettanto fondata rielaborazione dei dati e delle evidenze scientifiche, che quelle indicazioni di Stato mettono in discussione proprio in relazione all’utilità di una campagna vaccinale condotta sui minori.
Non si ha la pretesa che la Magistratura si faccia carico di affrontare tematiche mediche particolarmente complesse, intrise di indissolubili coinvolgimenti politici ed economici, ma si chiede che la cultura del Dubbio possa presiedere la decisone e la guidi verso una scelta realmente consapevole, capace di andare oltre la mera volontà del minore e oltre le pseudo certezze scientifiche che, nella quotidiana mutevolezza, rinvengono il loro limite intrinseco.
Certamente, la Magistratura dovrà soppesare quella volontà ma in una visione più articolata, che faccia dell’interesse del figlio il contrappeso verso cui tendere, in un delicato quanto difficile giudizio di bilanciamento con le evidenze scientifiche oggettive.
La dicotomia volontà–interesse, infatti, non può essere ricondotta ad un unicum concettuale, né le differenze fra le due nozioni possono essere sottovalutate in nome di una Giustizia che sempre più spesso, piegata alle contingenti esigenze politiche del risultato, sacrifica lo spirito più profondo e vero della propria funzione.
Senza volersi addentrare in implicazioni giuridiche che impegnano gli studiosi da tempo, è doveroso sottolineare che il concetto di volontà è inevitabilmente intriso di connotazione soggettive mediate che il Giudice dovrà valorizzare cogliendone gli aspetti più autentici. Ma proprio in questa difficile opera di discernimento si colgono i limiti di tale concetto che, pur dovendo fungere da faro, dovrà essere integrato da quello dell’ interesse caratterizzato, per contro, da una connotazione spiccatamente oggettiva. Ed è nella sintesi di questi due concetti che può essere rinvenuto il fine ultimo della scelta giudiziaria: il perseguimento del benessere del minore.
Ciò che si chiede al Giudice, in definitiva, è di superare quella visione di stampo manicheo del Diritto che sembra sorreggere le decisioni analizzate e che induce il giudicante stesso a predicare certezze laddove, invece, dovrebbero intravedersi ‘dubbi’.
“Dubium sapientiae initium”, scriveva Renè Descartes, cogliendo così a pieno la pericolosità di una ‘certezza’ che, per la sua illusorietà nell’assenza del dubbio, non può rappresentare il criterio guida nelle scelte giudiziarie.
Ed è a quelle certezze, rinvenute nei provvedimenti esaminati, che questo contributo rivolge la propria attenzione critica.
Tutte le pronunce analizzate hanno autorizzato la somministrazione del vaccino nei confronti del minore, nonostante la presenza di un genitore dissenziente, valorizzando di fatto due soli elementi:
Il Giudice, nel confutare la tesi del genitore dissenziente sulla non efficacia e pericolosità dei vaccini, nonché sulla ritenuta assenza di rischio infettivo allarmante per i minori, ha fondato la propria decisione su tre ‘assiomi’ così riassumibili:
Ognuna delle tre argomentazioni utilizzate, rappresentate dai Tribunali come dati acquisiti, in vero, possono essere confutate.
Gli standard di sicurezza dell’autorizzazione condizionata.
La prima tesi non richiede particolari sforzi ermeneutici per essere smentita, risultando sufficiente il richiamo al quadro normativo europeo di riferimento.
Peraltro, ancor prima che il dato normativo, sono le stesse argomentazioni utilizzate dai Tribunali ad inficiarne la validità a causa dell’esistenza di una insanabile contraddizione in termini: ritenere, infatti, che l’autorizzazione condizionata “presuppone comunque il positivo completamento di tutto il processo di valutazione ordinariamente previsto e il riferimento agli stessi standard (di sicurezza, di efficacia e di qualità) utilizzati per autorizzare qualsiasi altro farmaco o vaccino” (Tribunale di Bologna, decreto 13.10.2021), indurrebbe a svuotare di significato la definizione stessa di “condizionata” così come prevista e disciplinata dal Regolamento Europeo Commissione 29 marzo 2006, n° 507, non rinvenendosi nessuna differenza rispetto a quella “ordinaria” che ne giustifichi la diversa classificazione.
La sostanziale differenza tra la procedura ordinaria e quella condizionata, in vero, è rappresentata dal fatto che, in quest’ultima, le fasi della procedura – che in quella ordinaria seguono un principio di sequenzialità in base al quale l’avvio di ciascuna fase è subordinato alla conclusione di quella precedente – si svolgono in parziale sovrapposizione. Ne deriva che ciascuna fase, avviandosi immediatamente dopo l’inizio di quella precedente, è soggetta ad un’accelerazione dei tempi di sperimentazione. Conseguenza inevitabile di ciò è l’impossibilità di disporre, nell’immediatezza, della esaustiva verificabilità dei dati che connotano una sperimentazione ordinaria.
Sul punto, è lo stesso Regolamento europeo n° 507/2006 a precisare, al Considerando n° 2, che l’autorizzazione condizionata si rilascia “su dati meno completi di quelli normalmente richiesti” e, al Considerando n° 6, che “l’autorizzazione all’immissione in commercio condizionata è rilasciata prima che tutti i dati siano disponibili”3. Un’autorizzazione condizionata, pertanto, è caratterizzata:
a) dalla possibilità di procedere sulla base di dati incompleti;
b) dalla facoltà concessa ai produttori di fornire i dati in un momento successivo al rilascio dell’autorizzazione;
c) al rilascio dell’autorizzazione;dallo svolgimento in parallelo delle fasi della procedura di sperimentazione;
d) dalla produzione del vaccino contestualmente alla procedura di autorizzazione.
È, per l’appunto, nella mancanza di tutti i dati della sperimentazione e nella necessità di svolgere ulteriori accertamenti che va rinvenuta la previsione della durata limitata nel tempo (12 mesi rinnovabili).
L’esistenza di un regime diversificato tra le due procedure è indubbio e la differenza non può essere minimizzata, come invece dimostra di aver fatto il Tribunale mediante l’equiparazione sostanziale, in termini di sicurezza, delle due procedure.
Come è stato argutamente evidenziato, “Il regime differenziato previsto per il rilascio dell’autorizzazione condizionata potrà non essere un elemento discriminante per etichettare i vaccini anti covid come sperimentali, ma nemmeno consente di identificarli come vaccini sperimentati, in base alla compiutezza della procedura standard che si chiude con una autorizzazione definitiva, seguita da un quinquennio di farmacovigilanza. Tra le due procedure esiste una oggettiva differenza ed è superfluo precisare che tutte le vaccinazioni obbligatorie «di vecchio conio» sono state sempre disposte sulla base delle risultanze di ricerche, studi e sperimentazioni più che consolidate nel tempo”4. Pertanto, già il solo dato normativo sarebbe sufficiente a comprovare che i vaccini autorizzati in via condizionata – in forza della peculiare procedura di approvazione che li connota – non possono considerarsi dotati della medesima efficacia e sicurezza di quelli sottoposti ad autorizzazione ordinaria ed anzi, un farmaco autorizzato in via condizionata dovrebbe in certa misura ‘presumersi’ meno sicuro rispetto a quelli autorizzati in via ordinaria, poiché soggetto ad un’autorizzazione più rapida che, in quanto tale, garantisce un margine di sicurezza attenuato.
Del resto, la prova di quanto appena affermato, trova conferma sia nel fatto che le case farmaceutiche abbiano preteso ed ottenuto dagli Stati un manleva che li mettesse al riparo da pretese relative ai danni da effetti avversi, sia dalla previsione del c.d. ‘scudo penale’ per i medici vaccinatori, in deroga alla disposizioni sui profili di responsabilità penale.
Si tratta di cautele che, solitamente, non vengono predisposte in relazione ai farmaci autorizzati in via ordinaria e, pertanto, dimostrano che, sia le case farmaceutiche sia gli Stati, temono gli effetti collaterali di tali vaccini in misura maggiore di quanto non temano gli effetti avversi dei farmaci autorizzati in via ordinaria5.
Ci si rende conto, pertanto, che quanto sostenuto nel provvedimenti giudiziari di autorizzazione non ha alcuna tenuta né formale né sostanziale, essendo smentito dalle peculiarità della procedura di autorizzazione condizionata e dalle stesse cautele richieste a tutela sia delle case farmaceutiche, sia dai medici vaccinatori.
I rischi per i minori in caso di infezione da covid-19.
L’esigenza di vaccinare i minori è stata accolta con favore dai Tribunali sulla base di indicazioni scientifiche le quali, pur non sorrette da ponderate valutazioni statistiche, hanno preteso di dimostrare, con allarmante dogmatismo, che il contagio da virus sars-cov2 rappresenti, anche nelle più basse fasce di età, un rischio grave per la salute dei pazienti.
In vero, tale asserzione viene smentita da evidenze fattuali che emergono quotidianamente. Simili evidenze sono state discusse in diversi consessi sia nazionali che internazionali, ma, per quanto qui interessa, è sufficiente esaminare il “Bollettino di Sorveglianza integrata dell’Istituto Superiore di Sanità” (I.S.S.) – aggiornato al 24.11.2021 e pubblicato sul sito istituzionale in data 26.11.2021 – per rendersi conto che nella popolazione con età fra i 3 ed i 19 anni i rischi di contrarre la malattia in forme gravi sono assolutamente risibili6.
Come si evince dalla Tab.2 (pagina 12) del citato rapporto, recante ‘Distribuzione dei casi e dei decessi diagnosticati nella popolazione 0-19 anni per fascia di età’, in Italia si sono registrati:
Volendo trarre una statistica in percentuali dei dati summenzionati, si riscontra che, sul totale dei contagi nella fascia di popolazione attenzionata, le probabilità per i pazienti di sviluppare una patologia grave sono estremamente basse:
Di fronte a simili risultanze appare evidente che non sussistono, oggettivamente, rischi rilevanti per la salute dei minori in conseguenza dell’infezione da virus sars- cov2.
Ne deriva che le argomentazioni del Giudice che facessero leva sulla necessità di vaccinare il minore al fine di salvaguardarlo da rischi che, come sopra esaminato, statisticamente non corre, sono da considerarsi del tutto apodittiche.
Un simile deficitario percorso argomentativo, ben lungi dall’incarnare quel doveroso sforzo valutativo a cui il Giudicante è chiamato, si riduce, in realtà, ad una mera adesione a conclusioni istituzionalizzate, non sufficientemente rielaborate in chiave critica.
Sicurezza dei vaccini anti covid-19:
Anche in ordine ai profili di efficacia, nonché di sicurezza dei vaccini, i Giudici sembrano farsi condurre, nella decisione, da assiomi basati su generici “dati7 disponibili” che, sebbene riportati da fonti istituzionali, non sempre rispecchiano il dato reale.
Innanzitutto, nell’esaminare il livello di sicurezza dei vaccini anti covid-19, non si può prescindere dalla considerazione che, attualmente, non risulta vigente un sistema di farmacovigilanza attiva, essendo attuato solo un programma di vigilanza passiva basato sulla segnalazione degli eventi avversi in maniera spontanea e facoltativa.
Tale sistema, come dimostrato da numerosi studi, risulta inefficiente poiché registra un numero di effetti avversi ampiamente sottostimato rispetto a quello che si otterrebbe applicando un sistema di sorveglianza attiva (fortemente auspicato all’indomani dell’inizio della campagna di vaccinazione massiva).
È noto come i sistemi di farmacovigilanza attiva siano di gran lunga più efficienti nella rilevazione degli eventi avversi e, a dimostrarlo, sono numerosi studi. Fra gli altri, ci si rifà al programma di farmacovigilanza attiva inerente al vaccino contro morbillo, parotite, rosolia e varicella promosso dalla Regione Puglia nel quadriennio 2013-2017.8
Tale programma, condotto su 1.672 bambini che sono stati seguiti per un anno, ha evidenziato che le segnalazioni degli eventi avversi gravi, correlati alla vaccinazione, hanno avuto un’incidenza del 40,69% su 1000 (cioè 4 su 100) mentre, l’incidenza osservata con farmacovigilanza passiva (stesso vaccino e stesso periodo di tempo), è stato pari allo 0,12% su 1000 (1 caso ogni 12.000).
La differenza riscontrata è particolarmente significativa: i casi gravi raccolti con lo studio (farmacovigilanza attiva) superano di 339 volte le segnalazioni ricevute spontaneamente (farmacovigilanza passiva).
Da risultati come questo (e da altri condotti nella Regione Veneto), appare piuttosto evidente che la sorveglianza passiva non è assolutamente in grado di fornire un quadro realistico sulle reazioni avverse ai vaccini; ne consegue l’estrema difficoltà di ravvisare, con verosimile certezza, standard di sicurezza elevati nei vaccini anti covid-
Alla luce delle considerazioni sopra svolte, appare evidente che le argomentazioni adottate dai provvedimenti giudiziari esaminati sono in grado di fondare il provvedimento autorizzatorio alla vaccinazione del minore solo su un piano meramente formale e apparente, in quanto non tengono conto di una diversa lettura dei dati e delle evidenze scientifiche.
Ma si tratta, a ben vedere, di un approfondimento di indagine cui il Giudice non è certamente tenuto se non adeguatamente sollecitato dalle istanze del genitore dissenziente che, sul punto, non potrà esimersi dal fondare il proprio dissenso su studi clinici autorevoli e su una rilettura ponderata dei dati statistici ufficiali.
Di fronte ad una rappresentazione che si fondasse su dati clinici e statistici ineccepibili di segno opposto ai “dati ufficiali”, infatti, al Giudice non sarà concesso di attenersi a quest’ultimi sulla base di una indimostrata e indimostrabile presunzione di veridicità, ma dovrà necessariamente ricorrere all’ausilio di un consulente tecnico che gli consenta di individuare quale, tra le diverse prospettazioni, sia la più fondata.
Soltanto mettendo in atto un approccio dal simile rigore, il Giudice sarà in condizioni di assumere una scelta responsabile nell’esclusivo “benessere del minore” esentandolo, in caso di evento avverso causalmente riconducibile alla vaccinazione, da responsabilità quanto meno morali.
Il verificarsi di un effettivo evento avverso ai danni del minore, infatti, potrebbe aprire scenari risarcitori di ampiezza tale da poter interessare indirettamente anche quel Giudice che, sordo alle fondate ed evidenti eccezioni del genitore dissenziente, abbia autorizzato la vaccinazione.
Dott.ssa Ivana Suerra
Avv. Gianluca Monteleone
cfr. : https://www.fda.gov/advisory-committees/advisory-committee-calendar/vaccines- and-related-biological-products-advisory-committee-october-26-2021-meeting- announcement .[↩]